Vanni, visto con gli occhi di sua figlia

Ci sono persone che nascono sbagliate. Mio padre era una di quelle.

Persone che non devono nascere, non in quel luogo, non in quel momento, non in quelle circostanze. È incredibile come anche prima che qualcuno venga al mondo qualcun altro possa pronunciare un giudizio così condizionante. All’apparenza, inappellabile.

Ma come ogni essere umano dovrebbe imparare dalla vita stessa, sono ben poche le cose su cui possiamo avere il controllo, ben poche le cose immutabili, ben poche le sentenze corrette.

E così Vanni, nutrito con questo marchio primigenio, ha vissuto e interpretato un sentimento del riscatto straordinario. Un sentimento tale da ribaltare quel giudizio infame e trasformare il corso della sua esistenza. Grazie a persone luminose ed illuminanti, guide e mentori che ha incontrato sul suo cammino ha saputo trovare una rispondenza a quella ricchezza interiore che già possedeva. Una ricchezza fatta di grande sensibilità e forza di volontà, distillata con poche parole e molti fatti. 

E così, dal niente cosmico dal quale proveniva e contro ogni ostacolo, da giovane con fatica ha studiato e ripreso a studiare, ha militato politicamente, ha combattuto per la realizzazione di sé come portatore di bene. È diventato medico, prendendosi cura degli altri per oltre trent’anni, e si è creato una famiglia, in cui generare e rigenerare gli stessi valori di cura e attenzione.

Come medico, è stato un idealista fedele alla sua vocazione fino all’ultimo giorno di servizio, mal soffrendo l’inesorabile processo di burocratizzazione della professione sanitaria e la mancanza di umanità di certi colleghi… E di certi pazienti.

Come marito, è stato costante presenza al fianco dell’unica compagna di vita, nelle tempeste e nei chiarori della vita. Nel bene e nel male, al 100%. 

Come padre, è stato figura discreta, a volte quasi sfumata, qua e là da me incompresa. Finchè non mi sono resa conto che esiste anche un ‘dietro le quinte’ educativo fatto di dialoghi meno diretti e meno frequenti ma non per questo meno significativi.

Così è stato Vanni, senza mai dimenticare le sue origini, entrando nella vita delle persone sempre in punta di piedi, sempre con il timore di disturbare, di essere di troppo. Se pensate a come l’avete conosciuto e a come vi siete rapportati con lui, sono certa che abbiate sperimentato questa rispettosa delicatezza.

Non voglio dipingerlo come un santo: non lo era affatto. Tutti noi abbiamo i nostri demoni, le nostre questioni irrisolte, le nostre cicatrici. Lui non ne era esente. E periodicamente queste riemergevano, soprattutto nell’intimità degli affetti più stretti. Ma ha saputo stemperarle ogni volta.

E no, non se l’è goduta nel modo in cui si intende normalmente. La cosiddetta bella vita, fatta di lusso, beni di consumo e piaceri fini a se stessi, non gli è mai appartenuta e non l’ha mai cercata. A volte mi chiedo se non se la sia goduta davvero almeno un po’. Poi mi accorgo che il suo era il sapore di una vita semplice, ma così dannatamente autentica. Lavoro vissuto appieno, famiglia vissuta appieno, amicizie vissute appieno. Appieno, ma sempre delicatamente.

Il tutto condito da una maledetta coerenza, vissuta anche nella malattia. L’universo di emozioni dietro un calvario di questo genere, sigillato dentro di sé, per non essere di peso, per non disturbare, per non far soffrire.

Come un cerchio che si chiude, ci sono persone che non devono nascere e ci sono persone che non devono morire, non in quel luogo, non in quel momento, non in quelle circostanze. Ma questo è il sentimento di una figlia giovane che perde un padre troppo presto.

Se questa cosa può assumere un senso, allora, è nella possibilità di imparare qualcosa da Vanni – sono certa che lui non approverebbe questa ‘docenza’, ma tant’è. Questo voglio condividere con voi: finchè c’è tempo, finchè c’è respiro, impariamo un po’ di più a fermarci, ad osservare, ad ascoltare, ad andare all’essenza. Primo. Secondo: ad affrontare a testa alta le botte della vita. Senza fuggire da esse, ma senza nemmeno aggredirle di petto. A guardarle in faccia e ad accettarle, crescendo un po’ ogni volta. Terzo: ad elargire delicatezza e rispetto per gli altri.

Ad acquisire e distillare un po’ di quella magnanimità che aveva Vanni. Perchè magnanimo, etimologicamente, significa ‘dall’animo grande’. E al giorno d’oggi persone così sono rare.

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  1. Questo era Vanni!!! La tua descrizione da figlia è un dipinto lieve di come è veramente stata la sua esistenza! Per vivere appieno la vita, si dice, bisogna lasciare una traccia: Vanni ha tracciato un sentiero di magnanimità!!!

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